"Immaginate la Palestina in Caucaso”: come il Parlamento UE misura l’indignazione a geometria variabile

Danilo Della Valle



Da ottobre a oggi l’Emiciclo ha dedicato sei sessioni di dibattito alla Georgia e zero alla Palestina. Un dato che, da solo, denuncia la miopia — o la convenienza politica — dell’istituzione europea.

«C’è chi qui dentro non dorme la notte pensando alla Georgia. Immaginate che quel Paese sia in Medio Oriente…»

Con questo incipit provocatorio, l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle ha messo il dito nella piaga. Ha invitato l’Aula a esercitare un semplice esperimento mentale: spostare la cartina, sostituire Tbilisi con Gaza e domandarsi perché il Parlamento resti muto di fronte a un bilancio di oltre 100 000 morti, tra cui migliaia di donne e bambini, ospedali bombardati, code per un pezzo di pane sotto il fuoco dei cecchini.

Il punto è chiaro: l’indignazione dell’UE sembra scattare solo quando coincide con gli interessi dell’alleanza atlantica. Gli stessi che oggi gridano alla deriva autoritaria in Georgia — fenomeno reale e documentato — girano lo sguardo dall’altra parte quando le violazioni arrivano da un alleato strategico in Medio Oriente.

“Noi il genocidio lo chiamiamo col suo nome”

La parola «genocidio» aleggia tra i banchi come un tabù: pronunciarla equivale a incrinare equilibri geopolitici e forniture militari. Eppure, insiste l’eurodeputato pentastellato, il diritto internazionale non è un menu à la carte.

«Continueremo a gridarlo in ogni aula, in ogni piazza, in ogni istituzione — anche (e soprattutto) se dà fastidio», ha concluso, promettendo di rilanciare una risoluzione che chieda:

  1. Cessate il fuoco immediato e corridoi umanitari sotto egida ONU;

  2. Commissione d’inchiesta indipendente sui crimini di guerra e contro l’umanità;

  3. Sospensione degli accordi preferenziali con qualsiasi Stato coinvolto in pratiche di apartheid.

Un banco di prova per l’Europa dei valori

La politica estera dell’UE ama definirsi “basata su principi”: diritti umani, stato di diritto, dignità della persona. Eppure, quando questi principi contrastano con i legami economico-strategici, l’agenda di Strasburgo rivela crepe profonde.

L’esperimento mentale proposto in Aula è allora più di una provocazione retorica: è uno specchio teso all’Europa, costretta a confrontarsi con la propria coerenza. Perché non esiste pace credibile senza la capacità di chiamare ogni crimine col suo nome, ovunque avvenga.

Se il Parlamento vuole davvero essere la coscienza democratica dell’Unione, dovrà interrompere il silenzio selettivo e affrontare la tragedia palestinese con la stessa urgenza riservata ad altre crisi. Solo così l’Europa potrà smettere di misurare l’indignazione col bilancino della geopolitica e ritrovare un’unica bussola: quella dei diritti umani universali.

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