Rafah: il silenzio del mondo, la voce di chi resiste
Danilo Della ValleCompartir
Sono tornato a casa dopo giorni trascorsi al valico di Rafah, al confine tra Egitto e Gaza. Non porto con me parole concilianti o immagini da cartolina. Porto rabbia. Quella che nasce quando ti trovi davanti all’ingiustizia nuda, senza filtri. Quando vedi camion pieni di cibo, acqua e medicine fermi nel deserto, mentre a pochi chilometri da lì cadono bombe su bambini, ospedali e case.
A Rafah c’è il vuoto. Non ci sono più colonne di aiuti, né operatori umanitari. Solo sabbia, silenzio e indifferenza. Umano e politico. Siamo andati lì come delegazione del Movimento 5 Stelle per denunciare un’ipocrisia insostenibile: l’Occidente si riempie la bocca di valori, mentre chi può fermare tutto questo — governi, istituzioni internazionali, alleanze militari — rimanda, esita, tace.
“Non ci sono danni collaterali. Ci sono vite spezzate.”
A Gaza si sta consumando un genocidio. Le parole dei giornalisti palestinesi che abbiamo incontrato al Cairo sono state chiare, dolorose, coraggiose. I loro volti portano il segno della resistenza: raccontare ciò che accade a Gaza significa rischiare la vita ogni giorno. Colpiti non solo loro, ma le loro famiglie, le loro case, la loro stessa possibilità di testimoniare. Eppure continuano a parlare, a scrivere, a documentare.
Ci hanno chiesto una cosa: portare la loro voce nelle aule dei Parlamenti. E noi lo faremo. A Roma, a Bruxelles, ovunque ci sia ancora un microfono, una telecamera, una coscienza pronta ad ascoltare.
Il coraggio di dire la verità
Non siamo andati a Rafah per fare retorica. Siamo andati per guardare in faccia l’orrore e urlare che non c’è alcuna giustificazione per ciò che sta accadendo. Gaza è sotto assedio, tagliata fuori dal mondo. I bambini che sopravvivono non sognano più. Gli ospedali sono al buio. Le bombe non si fermano. E chi ha il potere di agire resta fermo, dietro le barriere della diplomazia di convenienza.
Le organizzazioni umanitarie chiedono corridoi, cessate il fuoco, tregue. Ma il tempo è finito. Oggi servono fatti.
La politica non può restare uno spettacolo muto
O la politica ha il coraggio di mettersi tra le bombe e i civili, oppure è solo teatro. Uno spettacolo triste fatto di parole e dichiarazioni, mentre la gente muore.
Noi abbiamo scelto da che parte stare. Non possiamo più tollerare che un governo come quello di Netanyahu venga definito “amico” da chi rappresenta l’Italia, mentre affama un popolo e vieta l’ingresso degli aiuti umanitari.
Non vogliamo essere complici. E non resteremo in silenzio.